Due storie di malattie croniche

La storia di Francesco

“…Mi chiamo Francesco, ho 48 anni e due figli. Mio papà ha 79 anni, due mesi fa è stato colpito da un ictus che l’ha reso infermo e non autosufficiente. Parla a fatica, è disorientato, non sempre è capace di fare programmi sul proprio futuro e di capire cosa succede nel presente. Inoltre ha una paralisi alle gambe e non cammina più. Due settimane dopo il ricovero in ospedale, i medici l’hanno trasferito in una casa di cura e di riabilitazione. Adesso mi hanno comunicato che nel fine settimana lo dimetteranno dalla struttura invitandomi a cercare un ricovero privato… Si tratta di una spesa di 3mila euro al mese! Da quando me l’hanno detto sono sconvolto e disperato. Io non posso accudire mio papà, non sono in grado di occuparmene e non posso permettermi di pagare un’assistenza privata né a casa né in struttura. Che cosa posso fare?”.

FRANCESCO PUÒ RIFIUTARE LE DIMISSIONI E OTTENERE DALL’ASL LE PRESTAZIONI SOCIO-SANITARIE DOMICILIARI E IL RELATIVO ASSEGNO DI CURA OPPURE IL RICOVERO IN RSA SE NON È VOLONTARIAMENTE DISPONIBILE AD ACCOGLIERLO A CASA.

La storia di Gabriele

Gabriele ha 55 anni, abita a Torino. «Come tutte le mattine – racconta – qualche anno fa andai a casa di mio padre, Luigi, anziano malato cronico non autosufficiente, e lo trovai riverso a terra. Non si muoveva e non reagiva, non c’era verso di rialzarlo». Luigi venne portato in ospedale: non muoveva le gambe ed era stanchissimo, era lucido a tratti e non sapeva badare a sé stesso autonomamente. Eppure la sera il medico di turno disse: «Tra poco lo dimettiamo e lo mandiamo a casa».

Gabriele racconta che rimase a fissarlo incredulo e dentro di sé pensò: «É matto questo dottore?». Poi rispose: «Mio papà non cammina e non capisce dov’è e cosa fa! Non posso riportarlo a casa!». Come tutti i malati cronici non autosufficienti (anche quelli giovani nelle stesse condizioni), il signor Luigi ha necessità di prestazioni che non possono essere rimandate (indifferibili), se abbandonato senza cure è destinato alla morte nel giro di breve tempo.

Gabriele mette in chiaro: «Non ho pensato, nemmeno per un momento, di abbandonare mio papà. Ma sapevo che non sarei più riuscito a prendermi cura di lui». Gabriele sa cosa vuol dire accudire una persona non autosufficiente, colpita da demenza senile, come nel caso di suo padre: «Anni di ferie saltate e di allerta continua».

«Suo padre è stabilizzato. È pronto a tornare a casa» era il ritornello che Gabriele continuava a sentirsi ripetere in ospedale. La questione, in realtà, è molto diversa da come viene comunicata da molti operatori sanitari e socio-sanitari, o dagli assistenti sociali. «Il diritto alla continuità delle cure c’è e non può essere negato nemmeno col motivo della carenza di risorse» fu la scoperta di Gabriele. Così come lo strumento per ottenerlo, cioè per evitare che il paziente venga “scaricato” dal Servizio Sanitario Nazionale alla famiglia. Si tratta dell’«Opposizione alle dimissioni e richiesta della continuità terapeutica»: una lettera con la quale si comunica il rifiuto delle dimissioni del malato e si richiede, in base alle leggi in vigore, la prosecuzione delle cure, anche in altro luogo, ma pur sempre sotto la tutela del Servizio Sanitario Nazionale.

Com’è andata a finire? Dopo l’invio della lettera di opposizione alle dimissioni Luigi viene trasferito in una casa di cura convenzionata. «Solo per sessanta giorni, di più non può stare», dicono i medici. Non è vero, la continuità delle cure sanitarie e socio-sanitarie dev’essere assicurata e occorre inviare nuovamente una lettera di opposizione. Così, due mesi dopo il ricovero, Luigi entra in convenzione con l’ASL in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA): la quota sanitaria, pari al 50% della retta (circa 1.500 euro), è pagata dall’Asl, mentre alle spese alberghiere Luigi fa fronte con la sua pensione (ISEE), in base alle leggi vigenti (che prevedono un contributo del Comune qualora non avesse le risorse sufficienti per far fronte alla sua quota).