Diamanti da investimento: lo scandalo che ha coinvolto migliaia di risparmiatori

Il fallimento della società IDB S.p.A. (Intermarket Diamond Business S.p.A.) avvenuto nel gennaio 2019 fin da subito è balzato agli onori della cronaca (anche giudiziaria), in quanto decine di migliaia di risparmiatori – tra cui alcuni personaggi del mondo dello spettacolo – che avevano acquistato diamanti da investimento tramite la propria banca di fiducia, si sono trovati in possesso di pietre di valore nettamente inferiore a quello di mercato.

La vicenda fa riferimento alla vendita da parte di due società, IDB S.p.A. (ora fallita) e DPI S.p.A. (Diamond Private Investment S.p.a.), tramite alcuni istituti di credito (Banco Bpm, Unicredit, Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena), di diamanti da investimento ad un prezzo che successivamente è risultato di molto superiore (nell’ordine medio variabile dal 40% al 70%) rispetto al reale valore di mercato. L’operazione veniva spacciata come un investimento sicuro, senza rischi, redditizio e facilmente liquidabile (classificabile come un bene rifugio).

Le società IDB S.p.A. e DPI S.p.A., anche attraverso gli istituti bancari di riferimento, al fine di offrire maggiore ufficialità e nel contempo pubblicizzare il prodotto, pubblicavano a pagamento le quotazioni delle pietre su importanti quotidiani di economia e finanza oppure rilasciavano, tramite la banca di appoggio e a chi aveva già acquistato il bene, delle valorizzazioni della pietra, senza però specificare che si trattava non di listini ufficiali, bensì di valutazioni, quotazioni e stime effettuati dalla stessa società.

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Allo stesso modo pubblicizzavano come investimento serio, affidabile, duraturo e con rendita costantemente crescente i loro prodotti, sia a mezzo internet che e soprattutto con materiale informativo lasciato negli istituti bancari, canale quest’ultimo attraverso il quale IDB e DPI riuscivano a vendere la quasi totalità dei loro diamanti (circa il 90%). Il risparmiatore veniva indirizzato dal proprio istituto bancario di fiducia all’acquisto dei preziosi, ingenerando così nel medesimo l’ovvia convinzione di investire i propri risparmi in un prodotto venduto dalla banca stessa.

Già nel 2017 l’AGCM (l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), con due decisioni, aveva sanzionato le società IDB S.p.A. e DPI S.p.A. e le relative banche di appoggio, per modalità omissive ed ingannevoli di vendita e violazione dei diritti dei consumatori, sanzioni confermate dal TAR Lazio. In particolare, proprio in relazione al materiale promozionale l’Autorità rilevava che si rappresentavano in modo ingannevole ed omissivo:

a) il prezzo di vendita dei diamanti;
b) l’andamento del mercato e l’aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti;
c) la facile liquidabilità e rivendibilità dei preziosi (quando invece l’unico canale di rivendita attraverso cui avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati era rappresentato dalle stesse società DPI S.p.A. e IDB S.p.A.);
d) la qualifica di leader di mercato, impiegata senza ulteriori precisazioni, al fine di conferire un maggiore affidamento alla propria offerta.

Proprio i provvedimenti all’AGCM hanno spinto anche la Procura di Milano ad indagare sulla vicenda, che recentemente ha contestato a 87 persone fisiche e 6 società con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari i reati di truffa aggravata, autoriciclaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza.

Solo successivamente al fallimento della società IBD S.p.A., però, la maggior parte dei risparmiatori è venuto a conoscenza della reale situazione e di come i propri risparmi erano stati investiti e gli effettivi rendimenti.

Parte dei risparmiatori aveva riposto i diamanti acquistati presso le cassette di sicurezza degli istituti di credito, mentre altri avevano deciso di lasciare i preziosi in custodia presso le società di vendita. Proprio quest’ultimo caso, in seguito al dichiarato fallimento della società IDB S.p.A., ha comportato la necessità per i risparmiatori di insinuarsi nel fallimento per rivendicare il bene acquistato e recentemente il Curatore del fallimento, autorizzato dal giudice delegato, ha iniziato ad organizzare la materiale restituzione dei preziosi, con l’ausilio degli istituti bancari coinvolti.

Purtroppo, però, sia che il risparmiatore sia già in possesso dei diamanti sia che ne attenda la restituzione, in seguito alle inchieste svolte ed all’istruttoria AGCM, è ormai accertato che il prezzo versato per l’acquisto delle pietre non corrisponde al valore di mercato delle medesime. Nell’importo pagato sono infatti state calcolate (ma non esplicitate in sede di firma del contratto di vendita) anche le commissioni percepite dalle società e dalle Banche per la transazione e altre spese (le commissioni in favore delle società e delle banche, ad esempio, variavano in diminuzione a seconda del tempo di investimento, ovviamente invogliando l’acquirente a mantenere l’investimento nel lungo termine proprio per ridurre le commissioni che comunque, ancora dopo il 7° anno dall’acquisto, ammontavano al 7%). Tutto ciò ha portato e sta ancora portando i risparmiatori ad avanzare domande risarcitorie nei confronti delle Banche per ottenere un indennizzo o rimborso.

Ad oggi a livello nazionale vi sono state diverse pronunce che hanno riconosciuto un ristoro economico ai risparmiatori per questa incresciosa vicenda. In alcune di esse (in particolare nei casi in cui la società venditrice è stata la IDB S.p.A. ormai fallita) è stato condannato l’istituto bancario a risarcire il risparmiatore con la somma individuata nella differenza tra il prezzo di acquisto ed il reale valore del bene, individuando la fonte della responsabilità della banca nel rapporto che è intercorso tra il cliente e l’istituto di credito in relazione all’acquisto dei diamanti e nell’ambito del quale il risparmiatore ha posto affidamento in un dovere di diligenza gravante in capo alla banca stessa, in virtù delle sue specifiche competenze professionali. Il rapporto intercorso tra le parti avrebbe infatti dovuto generare a carico della banca un obbligo di informazione e di protezione nei confronti del cliente a salvaguardia dell’affidamento in lui generato.

Se da un lato alcuni istituti hanno provveduto a rimborsare gli investitori con delle trattative private, in altre circostanze altre banche hanno opposto (e tutt’ora oppongono) maggiore resistenza a chiudere queste annose vicende che hanno visto coinvolti ignari risparmiatori non correttamente informati sulla trattativa commerciale instaurata.

Sicuramente è questo un argomento di grande attualità che vedrà nei prossimi mesi ulteriori sviluppi, anche con nuove pronunce da parte dei giudici chiamati proprio a valutare tutte le posizioni e decidere in merito alle responsabilità delle parti coinvolte.

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